Continua il nostro percorso nei requisiti NIS2 con il secondo appuntamento della rubrica sulle linee guida ENISA. Dopo aver analizzato la gestione degli incidenti, oggi affrontiamo il pilastro della resilienza: la Business Continuity. Molte PMI si illudono che basti un backup. In questa pubblicazione, vedremo come il Piano di Business Continuity sia la prova di maturità operativa che i tuoi clienti esigono per farti restare nella supply chain.

Articolo di NIS2Lab.

Quando il business si ferma, non basta avere un backup

Una linea internet interrotta. Un attacco ransomware che blocca l’accesso ai dati. Un errore umano che cancella interi database. Tutto questo non accade solo alle grandi aziende: sono le PMI a subire il maggior impatto operativo quando si verifica un’interruzione.

Eppure, in molti casi, manca un piano reale per reagire. Si pensa che basti “avere un backup” – ma un backup non dice chi deve fare cosa, come si ripristina l’operatività, in quanto tempo, quali priorità seguire.

È qui che entra in gioco il piano di business continuity: un documento pratico e organizzato, pensato per permettere all’azienda di non fermarsi del tutto, anche in condizioni critiche.

Le linee guida ENISA per un piano di business continuity realmente efficace

Le linee guida ENISA forniscono indicazioni molto precise su come costruire un piano di business continuity conforme agli standard richiesti dalla Direttiva NIS2. Non si tratta di una semplice lista di buone pratiche: le linee guida costituiscono una vera e propria “roadmap” tecnica.

Ecco, in dettaglio, i quattro pilastri che ENISA raccomanda di seguire:

1. Identificazione dei processi critici (Business Impact Analysis – BIA)

La BIA è il punto di partenza. Consiste nell’individuare tutti i processi aziendali, valutare quali siano indispensabili per la continuità dell’attività e stimare le conseguenze economiche, legali e reputazionali di un’interruzione.
ENISA sottolinea che la mappatura deve essere completa: risorse, sistemi IT, persone chiave, dati sensibili. Questo permette di assegnare priorità alle azioni di risposta e concentrare gli investimenti di continuità sulle aree realmente critiche.

2. Definizione di priorità e RTO/RPO (Recovery Time/Point Objectives)

Una volta identificati i processi critici, ENISA raccomanda di definire obiettivi di ripristino chiari:

  • RTO (Recovery Time Objective): entro quanto tempo ogni servizio o processo deve essere riportato operativo dopo un incidente.
  • RPO (Recovery Point Objective): quanti dati è accettabile perdere (ad esempio, “non più di 1 ora di lavoro”).
    Stabilire RTO e RPO consente di dimensionare correttamente backup, sistemi ridondanti e risorse dedicate. Sono parametri quantitativi e verificabili, che differenziano un piano generico da uno realmente attuabile.

3. Predisposizione di istruzioni operative per la continuità

Un piano senza procedure chiare è inutile. Le linee guida ENISA chiedono di documentare in dettaglio:

  • ruoli e responsabilità di chi interviene durante l’emergenza;
  • flussi di comunicazione interni ed esterni (chi informa chi e in quali tempi);
  • sequenze operative per mantenere o ripristinare i servizi minimi essenziali;
  • eventuali misure temporanee (workaround) per non fermare completamente le attività.
    Le istruzioni devono essere scritte in modo comprensibile anche per personale non tecnico e devono essere disponibili offline (ad esempio in versione cartacea), per essere consultabili anche durante un blackout informatico.

4. Test periodici e aggiornamento costante

ENISA chiarisce che un piano di business continuity è “vivo” e deve essere sottoposto a verifiche regolari. I test (esercitazioni, tabletop exercise, simulazioni di guasto o di attacco cyber) servono a:

  • valutare la reale efficacia delle procedure;
  • verificare i tempi di risposta e di ripristino (confrontandoli con RTO e RPO);
  • identificare criticità organizzative o tecnologiche.
    Dopo ogni test, il piano deve essere aggiornato in base ai risultati e agli eventuali cambiamenti aziendali (nuovi fornitori, nuove sedi, nuove tecnologie). Solo così rimane realmente aderente alla realtà operativa.

Per approfondire > Come affrontare la NIS2: l’intervista a Lavinia De Caro, PM di NIS2Lab

Piano di business continuity: non è un documento, è un’arma competitiva

Disporre di un piano di business continuity non è solo una misura tecnica: è un messaggio di affidabilità che lanci ai tuoi clienti.

Significa poter dire: Qualunque cosa accada, noi siamo in grado di continuare a lavorare, a consegnare, a garantire il servizio.”

Le aziende soggette a NIS2 devono selezionare fornitori in grado di dimostrare la propria resilienza. A parità di competenze e prezzi, sarà sempre scelto chi ha già pronto un piano documentato, testato e coerente con le Direttiva NIS2.

Il piano di business continuity diventa così un vantaggio competitivo nei bandi, nelle trattative e nei contratti. Ti consente di restare nella supply chain, di evitare esclusioni e di differenziarti dai concorrenti meno preparati. In un mercato dove affidabilità e sicurezza contano quanto il prezzo, questo documento può essere la tua carta vincente.

NIS2Lab ti aiuta a costruire il tuo piano di business continuity, passo dopo passo

NIS2Lab ti aiuta a:

  • analizzare e valutare i tuoi processi e dati critici;
  • definire la strategia di backup più adatta alla tua realtà ed esigenze;
  • costruire un piano operativo semplice, testabile e coerente da seguire in caso di perdita o violazione di dati.

Ti verrà fornito un documento professionale, chiaro e già pronto per essere usato in caso di emergenza. Il tuo piano di business continuity pensato su misura per la tua azienda da attuare in caso di fermo operativo. Questo conterrà le istruzioni per poter recuperare il backup più recente e riprendere la normale attività operativa aziendale nel modo più tempestivo possibile. 


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